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Gabriele Rondani, Marketing e PR Director di Rinaldi 1957, racconta come l’azienda sta affrontando l’epidemia di Covid19 e immagina quali potrebbero essere i comportamenti e le strategie migliori per uscire dalla crisi.
Gabriele, in che modo Rinaldi 1957 sta attraversando questo periodo storico?
Con i canali di vendita pressoché chiusi ci stiamo concentrando maggiormente sulla formazione e sulla comunicazione. Stiamo favorendo la migliore comprensione del nostro ampio catalogo attraverso webinar online, dirette facebook e instagram tenute dal nostro Advocacy Manager Walter Gosso, dai brand ambassador Ilaria Bello e Marco Riccetti, e poi direttamente da Paolo Vercellis e me. Inoltre, abbiamo sostenuto campagne di appello al Governo da parte di realtà horeca come Bartales, The Balance cocktail bar Savona, sponsorizzando i post sui nostri canali social. Per quanto riguarda i nostri fornitori, Ramsbury gin ha creato una piattaforma di solidarietà che permette di effettuare donazioni in favore dei bar, da riscattare in consumazioni quanto si potrà tornare a frequentarli. Inoltre, ha messo in piedi tempestivamente una produzione interna di igienizzanti per mani. Aviation ha donato il 30% delle vendite online ai bartender, anche perché purtroppo le notizie che provengono dagli Stati Uniti sono pessime e parlano di una categoria funestata da licenziamenti di massa. Don Papa infine sta sostenendo progetti di artigianato locale nelle Filippine e una serie di associazioni di volontariato in tutto il mondo.
In molti hanno paragonato questa pandemia a una guerra. Sei d’accordo?
Personalmente no. Durante la guerra chi resta in casa viene bombardato, spesso manca il cibo, i primi a cadere sono i bambini, c’è il mercato nero, sai dove si trova il tuo nemico e l’unica cosa che puoi fare per cercare di salvarti la vita è scappare. Questa non è una guerra, e ci tengo a ribadirlo per rispetto delle persone che le guerre le hanno affrontate e le stanno affrontando davvero. L’unica cosa in cui pandemia e guerra si rassomigliano è che entrambe avranno una fine. Ogni coronavirus in passato è stato sconfitto o è durato un periodo di tempo limitato. Andrà così anche questa volta, e dobbiamo esserne convinti se vogliamo superare l’ansia generale che sta caratterizzando il periodo storico che ci troviamo a vivere. L’ansia però non si sconfigge da sola ma insieme agli altri. Da soli siamo solo foglie in balìa del vento, mentre insieme siamo un albero, più o meno forte a seconda del tempo. Pensiamoci: in ogni albero, ciascun inverno trascorso è visibile dall’anello che si forma nel tronco. Ciascun inverno però, non ciascuna estate. Questo perché sono le difficoltà a renderci più robusti. Oggi più che mai bisogna non indugiare nell’autocommiserazione ma restare uniti e pensare a come ripartire. Anche noi come Rinaldi stiamo attraversando un periodo di grande difficoltà, ma di inverni dal 1957 ne abbiamo visti tanti, questo non sarà diverso.
Guerra quindi no, ma un fermento simile a quello del dopoguerra è auspicabile?
Il senso comune, anche adesso, deve essere proprio quello di un dopoguerra: dobbiamo essere grati per quello che abbiamo, immaginare il futuro, condividere i progetti e le gioie altrui e riscoprire un senso di appartenenza di cui una società individualista come la nostra ci ha privato. In Rinaldi non abbiamo lasciato soli nemmeno un giorno i nostri clienti né gli agenti di vendita, e non siamo stati lasciati soli a nostra volta dai nostri fornitori. Stramaledico questo virus, ma non posso che accettare quanto successo e che qualcosa cambierà, sia in peggio che in meglio. Il mondo di prima, malato com’era, non poteva continuare ad esistere, basti pensare alle scadenze che un tempo sembravano questione di vita o di morte e che adesso hanno completamente perso la loro importanza. Sia chiaro che non voglio un mondo in cui tutto è fermo, ma mi piacerebbe tornare a una versione migliore del mondo di prima.
Come Rinaldi cosa farete per incentivare le riaperture?
Sosterremo i bar nel periodo della riapertura con qualunque mezzo, come fornitori, amici e clienti, magari con la mascherina e mantenendo le distanze, ma torneremo. Si riaprirà in una stagione favorevole per accomodarsi all’aperto, dove i rischi di trasmissione del virus sono ridotti al minimo. Non vedo l’ora di sedermi al tavolino di un bar e sorseggiare un buon cocktail. E una cosa deve essere ben chiara a tutti: i bar notturni devono essere comparati ai diurni, non c’è nessun motivo per tenere chiusi i primi e aperti i secondi.
Quanto ci vorrà ancora, secondo te?
Per riprenderci del tutto ci vorrà ancora parecchio tempo, ma chissà che questo non serva a qualcosa: quante volte ci siamo lamentati dei troppi eventi, delle troppe masterclass e dei troppi appuntamenti? Prima ancora di capire quando ci riprenderemo dobbiamo renderci conto di cosa vogliamo veramente, non dimenticando che anche da casa è stato possibile formarsi, per esempio seguendo seminari o leggendo, cosa che ha permesso di approfondire la nostra conoscenza dei protagonisti dell’universo beverage.
Nel mondo di prima non era possibile rallentare, perché chi lo faceva era destinato a rimanere indietro. Il virus in tal senso è stato piuttosto democratico: ha costretto tutti noi a rallentare insieme e a capire cosa vuol dire vivere in un mondo completamente diverso. Ed è cambiato tutto. Molto di ciò che prima sembrava necessario ha perso importanza. Rallentare quindi è possibile se si rallenta tutti insieme, ma se lo fai da solo no, vieni visto come diverso, non produttivo e la società così com’era prima dell’epidemia ti fagocita. Invece alle volte chi va “lento” lo fa solo per ragionare con più attenzione su un progetto, e senza rispondere a mail e telefonate magari tira fuori l’idea del secolo. Pochissimi riuscivano a prendersi questo tempo quando le cose andavano a tutta velocità, vediamo come andrà da ora in poi.
Come dovremmo comportarci in questo periodo di lockdown?
Innanzitutto, come cittadini italiani, credo che sia necessario ripensare il nostro ruolo in Europa. Siamo la seconda potenza manifatturiera europea, una nazione incredibile, culla di storia, arte, cultura e tradizioni. Ma non dobbiamo strillarlo sui social media, dobbiamo coltivare un senso di appartenenza e autocoscienza di quello che siamo e possiamo fare. Così spesso invece ci mettiamo gli uni contro gli altri, Italia contro Europa, regioni contro regioni, ma poi per cosa? Siamo italiani, siamo Europei, siamo una grande famiglia che non è certo nata oggi, basti già solo pensare a quanti popoli parlano lingue romanze. Abbiamo già mostrato al mondo un Rinascimento, noi italiani, e io sono convinto che sapremo mostrargliene un altro. Siamo la Nazione dei negozietti, dell’artigianato locale, dello slow food, delle piccole cose. Non siamo la Nazione dei supermercati. Per quanto posso, sto sostenendo al massimo i piccoli negozi e non passo certo la giornata a lamentarmi su facebook perché c’è coda. Siamo in un momento difficile ma è solo ripartendo da noi, ripensando il nostro microcosmo e abbattendo le barriere che potremo uscirne.
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