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Partito da zero, ha imparato tutto da autodidatta, quando ancora si ricercava lavoro nei locali tramite un giro di SMS. Oggi è il volto del cocktail bar milanese in zona Porta Romana LACERBA QUISIBEVE, dove quest’anno compie il decimo anno dal suo primo ingresso.
Ciao Agostino, quando hai fatto il tuo primo passo nel mondo del lavoro? E nella miscelazione?
Da giovane ho fatto l’Università di Relazioni Internazionali a Milano, in Cattolica. Lavoravo in un’agenzia di comunicazione di giorno e la sera in tanti locali diversi come lavabicchieri e in sala. Quando dopo 6-7 mesi ho notato che guadagnavo di più nei bar tre giorni alla settimana che in agenzia, ho lasciato per dedicarmi interamente a questo settore. Era il 2002-03. Con l’andare del tempo, lavorando nei cocktail bar e nelle discoteche la sera, mi sono appassionato alla miscelazione e ho quindi deciso di fare un corso per diventare barman alla 3F, grazie al supporto del cocktail bar nel quale lavoravo all’epoca, dove avevo imparato le prime nozioni di miscelazione. Ho quindi deciso di fare un corso all’AIBES, per migliorarmi ancora, in particolare sui classici. Nel frattempo ho finito l’Università e sono andato a lavorare in Svizzera a Monaco di Baviera e in altre località all’estero. Mi sono sempre proposto in locali – bar diurni, notturni, discoteche, casinò, ristoranti, hotel, ristoranti italiani all’estero – in cui ho finito per affinare le basi dell’ospitalità.
Quali sono state le tue esperienze più significative prima del LACERBA?
Tutte le esperienze mi hanno lasciato qualcosa e tutti i miei datori di lavoro che pensavano più a fare cassetto che ad altro mi hanno sempre insegnato che “non importa che cosa ti chiedono, ma che il cliente sia contento” e così il mio approccio, anche attuale, è sempre stato questo. Dopo numerose esperienze all’estero sono tornato a Milano, dove ho lavorato all’Armani Privè Nobu, un ambiente elitario in cui non avevo granché modo di sperimentare, vista la giusta importanza data ai costi di gestione. In quegli anni, era il 2009, ho conosciuto i ragazzi che avrebbero aperto il Jerry Thomas, Antonio Parlapiano, Roberto Artusio, Leonardo Leuci e infine Alessandro Procoli. Avevano iniziato a tenere dei corsi a Milano, tramite Food and Foodies e ad ospitare bartenders internazionali come Stanislav Vadrna, Alex Kratena dell’Artesian, Marian Beke, Erik Lorintz o Beachbum Berry. Prima di allora, almeno per me, era difficile reperire libri e materiale per addetti al settore e loro mi aiutarono molto, anche a interessarmi a una miscelazione di ricerca, diversa da quella che avevo fatto sin a quel momento.
Come e quando sei arrivato al LACERBA?
Ero un cliente del LACERBA e una mia amica, la prima vincitrice della Campari Competition Chiara Beretta, mi disse che cercavano un bartender perché Federica Negri lasciava per seguire un suo primo progetto sul Naviglio Grande qui a Milano. Il QUISIBEVE del LACERBA era uno dei pochi bar assieme al Rita, al Nottingham Forest e al Julep frequentato da molti baristi. Ci lavorava Umberto Consiglio e, quando sono entrato io a fine 2011, mi sono trovato fianco a fianco con Leonardo Todisco, che nel 2016 ha lasciato per trasferirsi al Rita, dove è l’attuale responsabile bar. Da quel momento sono diventato bar manager. Negli anni sono stato aiutato da molte persone, in particolare da Giacomo Ellena che ora lavora con il gruppo Bulgari a Londra al Nolita e Davide Castelli, arrivato da noi molto giovane a breve inizierà come responsabile di un bar in zona Isola.
Che cos’era prima il LACERBA e quando è stato aperto? Come si è evoluto negli anni?
In origine qui vi era una tecoteca vegana, L’Acerba, gestita da anziani signori tedeschi, che proponevano tra le varie cose un brunch vegano crudista. Il locale non prese piede, perché il pubblico milanese non era ancora pronto e quindi decisero di venderlo. Quando la sorella di uno dei soci attuali (architetto) vide il locale insieme al potenziale acquirente, decisero di prenderlo. Nella bibliografia della sua tesi di laurea vi era una rivista fiorentina risalente ai tempi del futurismo chiamata LACERBA e quindi decisero di dare questo nome puntando su una cucina futurista. Era il ’99 e il locale – un ristorante futurista e pizzeria – ebbe una certa risonanza negli Stati Uniti, dove fu protagonista in un’intervista sul Washington Post e in una conferenza sul tema a New York. In Italia la proposta futurista non prese piede e il locale diventò quindi un ristorante di pesce, con la conversione dello spazio pizzeria nell’attuale cocktail bar nel 2004 chiamato QUISIBEVE insieme ad Oscar Quagliarini, inizialmente aperto tre giorni alla settimana con, tra le cose, spettacoli di improvvisazione teatrale. Nel 2009 vi è stata una ristrutturazione importante e un’ulteriore a fine 2018, con il rifacimento del bancone bar e con l’insonorizzazione del locale. All’inizio dello scorso anno abbiamo inaugurato il nuovo bancone da me inaugurato – prima vi era quello modificato negli anni con mille stratagemmi della pizzeria – che abbiamo utilizzato, causa Covid-19, per un solo mese e mezzo. Il bar ha sempre cambiato durante la settimana il proprio target/approccio, i giorni a inizio settimana più tranquilli e rilassati, per arrivare ad un fine settimana caotico e fortemente impegnativo, la musica cambiava in base alle dinamiche, dal blues e jazz, quando il momento diventava allegro e scanzonato ska/punk/reggae, fino all’elettronica molto spinta ed heavy metal. Siamo sempre stati molto dinamici.
Cosa rappresenta per te il LACERBA e cosa rappresenti tu per il LACERBA?
Per me il LACERBA è diventato parte integrante di quello che sono ed è un po’ come casa mia. Durante il lockdown soffrivo più per non poter andare al locale che per altro. Con tanti clienti si è inoltre creato un rapporto storico: alcuni pensano che io ne sia il proprietario, visto che mi vedono al locale da 10 anni. Per il LACERBA io sono un punto di riferimento, sia per i clienti che per i soci.
Come ha impattato il Covid-19 e come si evolverà il locale?
Abbiamo attivato la consegna a domicilio e l’asporto di cibo e cocktails e stiamo valutando, in vista della ripresa, di adattare l’offerta del ristorante a quella del bar, in modo da uniformare la proposta. Abbiamo sempre fatto buoni numeri – 130 coperti a pranzo e 70/80 a cena al ristorante e 1000 drinks nel solo venerdì sera – e non abbiamo mai pensato di cambiare. Va da se che i numeri di prima, soprattutto per motivi sanitari, non si potranno più fare, abbiamo riorganizzato la sala del bar completamente. Prima avevamo moltissime sedute – calcolavamo al solo bar 3 turni da circa 75 sedute a turno – oggi abbiamo messo molti divani e poltroncine e non andiamo oltre i 32 posti a sedere, compreso il bancone, cuore pulsante del QUISIBEVE. Con il maggior tempo a disposizione, abbiamo pensato di puntare su una cucina italiana più semplice, che vada a riprendere i piatti delle tradizioni regionali. Con l’asporto e la consegna a domicilio abbiamo iniziato a servire ricette come la micchetta con mondeghili o la parmigiana di melanzane, che noi serviamo in una variante alla puttanesca.
Qual è la clientela del LACERBA?
Quando il LACERBA ha aperto non vi erano tanti cocktail bar e quindi le poche persone che avevano il desiderio di andarci e si trovavano in zona venivano da noi. Con il tempo, la nostra clientela si è arricchita in modo eterogeneo: studenti, coppie di ragazzi, persone adulte e donne in cura alla clinica Mangiagalli, che venivano da noi per la nostra proposta analcolica ormai più che decennale – dal 2017 utilizziamo anche Memento, azienda per la quale ho collaborato alla creazione delle ricette – e per il fasciatoio. Noi siamo un punto di aggregazione – la gente viene per stare insieme qui – e questo si è visto quando molti clienti sono passati a trovarci in questo strano momento, anche solo per un saluto o per portare una parola di incoraggiamento.
Cosa pensi dei premi che vengono assegnati nel campo e delle guest?
Abbiamo avuto moltissime nomine nel corso degli anni, ma non abbiamo mai scelto di cavalcare quest’onda perché non vogliamo mettere i nostri clienti a disagio e perché non capiamo molto il senso di queste cose. Le persone che vengono da me non voglio che vengano per il Martini, ma per chiacchierare. Il mio lavoro è quello di creare marginalità e affiliazione, ma al mio bancone sono nate tante amicizie. Per nostra scelta non abbiamo mai ospitato bartenders esterni, per evitare di mettere in imbarazzo i nostri clienti, che rimangono la nostra unica priorità. Una sola volta, per capire come poteva essere, nel 2018 abbiamo ospitato 2 vincitori di un premio importante canadese che hanno fatto da bere con noi per una sera, i nostri drink.
Com’è strutturata la drink list oggi?
Al LACERBA QUISIBEVE abbiamo sempre avuto una drink list nella quale proponevamo 5 drinks del mese. Il più venduto entrava in menu, nel quale avevamo ben 55 cocktail. Ogni anno ne facevamo 50 nuovi e gli stessi li organizzavamo per distillato. Alcuni esempi sono il Panettone Sour con rum al panettone milanese, pedro ximenez, limoni e arance spremute, il Moncalieri con grappa di Franciacorta, Select, vermouth dolce, assenzio, fernet e il Bitter Sweet Simphony con rum giamaicano, rum demerara, rabarbaro Zucca, creme de cassis, succo di lime e sciroppo di lamponi. In menu non abbiamo mai avuto i classici ma li abbiamo sempre fatti a chi ce li chiedeva, che sono più della metà della nostra produzione, una grande fetta della clientele ha sempre ordinato Martini, Daiquiri, Margarita e Bloody Mary.
Perché hai deciso di focalizzarti sul Bloody Mary?
Quando sono arrivato al LACERBA, il percorso di ricerca sul Bloody Mary era già stato avviato da Umberto Consiglio. Insieme a Leonardo Todisco abbiamo sviluppato tante versioni, alle quali si sono aggiunte quelle che ho creato da solo, quando lui è andato al Rita. La nostra particolarità, fin da sempre, è stata quella di preferire la vellutata di pomodoro al più tradizionale succo di pomodoro, per ottenere un risultato più denso e meno corposo. In questi anni sono nate infinite varianti, tra le quali lo Smockey Mary con whisky torbato in sostituzione della vodka, sale affumicato al legno di faggio e tabasco, il McMary, che piace molto ai ragazzi, con vodka al cipollotto selvatico e il Malavoglia con tequila all’origano e vellutata di pomodoro giallo. Il mio preferito è lo Yellow SubMaria, con tequila infusa al peperone e curcuma.
State facendo asporto e consegna a domicilio anche di cocktails?
Sì, stiamo consegnando una decina di drink in lattina di cui 5-6 classici. Abbiamo anche una sezione con 4 drink da litro: Vodka sour allo zenzero, Hemingway Tea Cup, con gin, sciroppo di tè French Blue, limone, pompelmo, Brancamenta, McNamara, con whisky torbato, blended scotch, limone, sciroppo di zenzero e miele, e Bloody Mary L’Acerba, con vellutata di pomodoro, tabasco verde – leggermente meno acido del tradizionale – succo di lime, sale, pepe, zucchero e vodka infusa all’habanero, Basil’n’Honey con vodka, basilico, sciroppo di miele, lime e pompelmo.
Qual è il tuo cocktail preferito?
Il Gibson, una variante del Martini Cocktail preparata con gin, vermouth dry e orange bitter, che guarnisco con cipolline in agrodolce che metto in infusione di gin e pepe in grani. Lo amo, insieme al Bloody Mary, perché credo ritengo sia il drink per eccellenza dell’aperitivo e anche per la sua versatilità. Ognuno se li prepara/fa preparare secondo le sue preferenze.
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