[:it]Erano gli inizi del ‘900 in una Firenze ricca di fascino e nobiltà. Un po’ too much come inizio? Forse sì, ma quando si parla di cocktail iconici e di aristocratici italiani che si pregiano di avergli dato i natali, un po’ di pathos non stona mai.
Di chi e di che cosa parliamo? Del Conte Camillo Negroni e della sua creatura centenaria che proprio da lui trae il nome: il Negroni.
Centenaria sì, perché proprio nel 2019 il Negroni compie un secolo, anche se va detto che se lo porta molto, molto bene considerando che questo quest’anno ha conquistato il secondo posto nella classifica dei drink più amati del mondo (dopo l’Old Fashioned) stilata dal Drinks International.
Un traguardo che profuma di storia italiana, perché il Negroni originale nacque a Firenze dalla mente di uno degli aristocratici più in vista dell’epoca, il conte Camillo Negroni per l’appunto, e dalle mani del barman Fosco Scarselli della bottega Giacosa, sita in via de’ Tornabuoni 83.
Tornava un giorno il Conte da un soggiorno in Inghilterra, di cui probabilmente stava chiacchierando in orario aperitivo con amici e compagni di bevute nella bottega di cui sopra, quando fu colto da un pizzico di nostalgia. Punge, la nostalgia, non a caso definita da qualcuno “canaglia” (così per lo meno abbiamo abbassato i toni aulici della narrazione).
Ebbene, qual è il distillato che più di tutti connota l’Inghilterra? Senza dubbio il gin. Ecco allora che Don Camillo (non scherzate, il trattamento d’onore di molti aristocratici italiani per diversi secoli è stato proprio “Don”) che era solito ordinare sempre l’Americano, chiese a Fosco Scarselli di crearne una versione un po’ più “decisa”, con una spruzzata di gin che ne avrebbe innalzato il grado alcolico mantenendone inalterato il colore e aggiungendovi la sua tipica nota amarognola e secca. E fu subito amore.La leggenda vuole che per qualche tempo il cocktail venisse indicato come “l’Americano alla maniera del Conte Negroni”, prima di assumere semplicemente il nome di quest’ultimo, così come tutti lo conosciamo oggi.
Un cocktail dai natali aristocratici dunque, la cui ricetta fu presto fissata in
1/3 Gin
1/3 bitter Campari
1/3 Vermouth
miscelati in un tumbler basso con ghiaccio e una fetta di limone (ricetta originale) o arancio (variazione sul tema).
Ai tempi del Conte Negroni nasceva il cinema, quindi non c’è da stupirsi che la sua creatura sia ben presto diventata un punto fermo di una serie di film ma anche di racconti e romanzi, facendo il suo ingresso nella cultura di massa e garantendosi di fatto così l’immortalità (si dice che addirittura Ian Flaming, il “padre” di James Bond, ne fosse un grande estimatore, ma sono quando fatto con Gordon Dry Gin, of course).
Tra le tante variazioni cui questo cocktail iconico è andato incontro nel corso degli anni, le uniche due che forse vale la pena citare sono il Negroni Sbagliato e il Negroski. Il primo nacque negli anni Sessanta grazie a Mirko Stocchetto, storico barman venuto purtroppo a mancare recentemente. Nella confusione di una serata dietro il bancone del Bar Basso di Milano, Stocchetto afferrò una bottiglia di spumante brut scambiandola per gin e realizzò involontariamente il primo Negroni Sbagliato della storia, scatenando l’entusiasmo dei presenti e di così tanti estimatori negli anni a venire da aver reso oggi questa variazione famosa quasi quanto l’originale.
Il Negroski invece si ottiene sostituendo il gin con la vodka, come si potrà immaginare dalla variazione del nome.
E se vi state chiedendo cosa ne penserebbe il Conte Camillo Negroni di questa variazione beh… del resto il suo Negroni non era anch’esso una “variazione” dell’Americano?
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