[:it]Benjamin Cavagna: retroscena e nuovi progetti del bar manager del 1930[:]

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Ventinovenne originario di Lumezzane (BS), Benjamin Cavagna è il bar manager del 1930 Cocktail Bar. Unico speakeasy del gruppo milanese Farmily, guidato da Flavio Angiolillo e di cui Benjamin è uno dei soci, si è nell’ultimo periodo dedicato a nuovi e interessanti progetti.

 

Quando è nata la tua passione per i cocktail e come sei arrivato al 1930? È lì che è nato il soprannome?

La mia passione è nata a 19 anni, quando ho iniziato a lavorare come garzone mentre stavo ancora giocando a calcio. Prima ho lavorato in un cocktail bar in provincia di Brescia, e poi, dopo alcune esperienze, sei anni e mezzo fa è arrivata la chiamata di Flavio Angiolillo. Ero un suo cliente affezionato e lui mi chiamò al 1930 per fare degli extra. Un anno e mezzo dopo sono diventato il bar manager. Per quanto riguarda il soprannome Benjamin – io mi chiamo Fabio – è nato in maniera scherzosa quando ho iniziato a lavorare nella compagnia, per i primi 3-4 mesi al Mag. Capita che ogni nuovo arrivato nella nostra compagnia riceva un soprannome divertente, un po’ per scherzo ma anche per facilitare il lavoro vista la presenza di più ragazzi con lo stesso nome. Nel mio caso il soprannome è nato da Benjamin Button, poiché avevo solo 20-21 anni, ma sembravo già vecchio. Sette anni fa, in occasione del mio ultimo taglio di barba a zero, sono entrato al locale e Flavio non riconoscendomi mi ha detto: “Vedi che sembri Benjamin Button?”

 

 

Che emozione hai provato la prima volta al 1930? Quali sono i vostri punti di forza? E quelli distintivi?

È stato magico perché l’ho fatto da cliente e non sapevo nemmeno dell’esistenza del locale, a differenza della quasi totalità dei nostri clienti. Non avevo idea di cosa fosse il 1930, di quale esperienza mi aspettasse e di chi ci lavorava all’interno. I nostri clienti rimangono affascinati principalmente da 3 aspetti: la privacy, perché potendo entrare solo un certo numero di persone e solo alcune c’è quest’alone di riservatezza, la voglia di sperimentare, perché il 1930 è un cocktail bar che non si pone limiti, e la comunicazione sartoriale. Al cliente nuovo possiamo raccontare quello che noi facciamo al locale mentre chi viene quotidianamente rimane colpito per l’accoglienza informale in un cocktail bar molto sperimentale e internazionale. Vi sono diverse differenze tra il 1930 e gli altri speakeasy: qui per accedere devi essere socio e, per diventarlo, devi frequentare gli altri locali della proprietà – Mag Cafè, Iter e Mag La Pusterla – conoscere i ragazzi e farti conoscere. Se c’è la possibilità di far entrare la persona a ‘casa nostra’, allora siamo noi a deciderlo. In questo modo, riusciamo a conoscere più dettagli dei nostri clienti e garantire loro una miglior esperienza.

 

Come descriveresti la clientela del 1930? Credi che il legame con loro si sia rafforzato recentemente?

Poliforme. Abbiamo lo studente di 20 anni che beve whisky da 100 euro, l’avvocato che ordina il gin tonic da 15, passando per il pensionato che è appassionato ai distillati e per l’addetto al settore. La cosa strana è che tutte queste persone si ritrovano in un unico luogo annullando i gap sociali esistenti. Il nostro legame con i clienti è fortissimo e si è visto in modo particolare nel primo lockdown. Le persone percepiscono il 1930 come luogo di ritrovo, un po’ come il bar negli anni ‘80, ‘90 o 2000. Per quanto riguarda la nuova carta, finché non abbiamo certezza non ci pensiamo, ma sappiamo che apriremo più carichi che mai, con tantissimi clienti che torneranno a identificarci come un punto di ritrovo. Confermeremo il format che abbiamo lanciato recentemente, quello della colazione alcolica la domenica, e lavoreremo ad altre novità.

 

 

Assaggi ma non bevi i cocktail: perché? Che cosa ti piace bere e che locali frequentavi con i colleghi?

Mi piacciono i sapori dei cocktail ma poco il gusto dell’alcool. Capita che io beva qualche cocktail, ma raramente e solo in compagnia di amici. Il mio preferito è il Brandy Crusta che, essendo raro da trovare, le poche volte all’anno che lo bevo me lo preparo da solo. Nel tempo libero mi sto specializzando sui vini naturali, anche grazie a un amico che abita in Svizzera – uno dei tre maggiori esperti sul tema nella sua nazione – e sulla birra, per la quale faccio affidamento al Lambic Zoon, probabilmente il primo bar in Italia a produrre e servire birre tipo Lambic. Quando uscivo insieme ai miei colleghi spesso andavamo in un pub per una lager o nel weekend a fare l’aperitivo da Ceresio7, Rita’s Tiki Room e Mandarin Oriental.

 

Cosa pensi dei cocktail analcolici e a basso contenuto di alcool?

È un concetto che sposo pienamente. Non solo li proponiamo al 1930 ma siamo anche partner e soci di JNPR, un progetto che consiste nella creazione di distillati analcolici utilizzabili in miscelazione. Abbiamo collaborato alla creazione delle ricette ed entrambi i prodotti, il JNPR n°1 e il bitter analcolico BTPR, li utilizziamo anche nei nostri locali, con gran successo.

 

 

Che emozione hai provato quando il 1930 è entrato nei 50 Best e quando è stato riconfermato? È cambiato qualcosa da prima?

Ero in vacanza ed ero in una posizione in cui non vi era la connessione. All’ora di pranzo, quando sono riuscito a collegarmi a internet, ho ricevuto 70-80 notifiche. È stata un’emozione fortissima, ancor di più considerando che non ce lo aspettavamo. Riconfermarsi è stato ancora più difficile, perché avevamo molte più attenzioni. Da quando siamo entrati nella 50 Best abbiamo dovuto viaggiare di più, per avere ispirazioni nuove e per comunicare il nostro lavoro. Abbiamo ricevuto tanta popolarità ma abbiamo mantenuto uno strettissimo legame con i nostri clienti e le relative famiglie. Con loro ci capita di pranzare assieme, di scambiarci i regali e di partecipare ad alcuni matrimoni. Gran parte dei risultati che abbiamo ottenuto li dobbiamo proprio a questo tipo di legami.

 

Quali sono i vostri progetti recenti? Ne avete di nuovi in programma?

Il più importante è indubbiamente Dripstillery, un progetto nato l’anno scorso durante il lockdown in partnership con Fundeghera 1939, un’azienda nei dintorni di Abbiategrasso creata nel 2018 dai pronipoti del fondatore della drogheria. Dripstillery è la valvola di sfogo per tutte le creazioni di Farmily. Il primo prodotto nato è Bitter Fusetti, un bitter da 25 % vol che stiamo già distribuendo in tutta Italia nel formato litro, bag in box da 3 L e nel mezzo litro, al dettaglio e online. Può essere utilizzato in un Negroni, Americano o Bitter shakerato, oppure in uno dei nostri signature come il Marinaio sballato, preparato con Bitter Fusetti, vermouth al caffè, mezcal, riduzione di aceti e servito in una coppetta senza ghiaccio, con olive al mezcal. Sempre con Dripstillery abbiamo in programma di lanciare Dripsliquor, una linea di sette liquori creata in collaborazione con bartenders italiani che va a richiamare la classica liquoristica nel mondo bar, e Dumb Stuff, liquori divertenti e curiosi realizzati insieme a bartenders internazionali.

 

Qual è il signature cocktail nel quale ti identifichi maggiormente?

L’Asado Old Fashioned, la variante di un grande cocktail classico, il cui nome rimanda al metodo di cottura della carne probabilmente più tradizionale e rappresentativo in Argentina. Abbiamo distillato la carne, ovvero il pulled pork, e abbiamo creato una gomma con il fumo liquido, quel prodotto che si utilizza sulla carne durante la cottura. Abbiamo quindi realizzato una crusta – disidratata con le maltodestrine – fatta con il chimichurri, la loro tipica salsa verde con aglio, peperoncino e prezzemolo utilizzata per accompagnare il pesce e la carne.

 

Ingredienti:

30ml Michter’s Bourbon Whiskey

15ml Pulled pork spirits

15ml Smoked gum syrup

 

Preparare con la tecnica stir, miscelando gli ingredienti con un bar spoon direttamente in un bicchiere Old Fashioned.

 

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