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Nati in Italia, conosciutisi a Londra e ora colleghi, fianco a fianco, nel 9° cocktail bar migliore al mondo secondo la World’s 50 Best Bars. È la storia di Giovanni Graziadei e Silvio Daniele, rispettivamente Head Bartender e Principal Bartender del Jigger & Pony, il cocktail bar che dal 2012 ha rivoluzionato la scena della miscelazione locale e mondiale.
Giovanni è nato a Torino, città dove dopo il liceo, “anche tramite l’aiuto di mio zio, che lavora nel settore della ristorazione”, si è appassionato al mondo della miscelazione. È partito per Londra con il sogno di lavorare nei migliori bar al mondo con un bagaglio di esperienze ancora vuoto. Qui inizia a lavorare come barback al Blind Pig, “un cocktail bar di un ristorante stellato nel quale poi sono diventato bartender”. Nel bar situato a Soho, in un’atmosfera piuttosto vivace cresce grazie al manager e suo primo mentore della carriera Kyle Wilkinson, due volte finalista della Diageo Reserve World Class UK. Dopo un paio di anni, all’età di 22 anni lascia per andare al 69 Coolebrooke Row, dove diventa head bartender e dove si forma ancora di più sul lato tecnico, soprattutto per ciò che riguarda la ricerca e lo sviluppo del menu. Riceve la chiamata dal Jigger & Pony nel 2018, dopo aver conosciuto i proprietari in un evento al Gibson – un altro locale del gruppo – poco tempo prima. Lo chiamano per affidargli il nuovo Jigger & Pony, quello appena trasferitosi all’Amara Hotel in cui si trova ancora oggi.
La storia di Silvio, che corre in parallelo, parte da Napoli. Prima di mettersi dietro al bancone con bar spoon e shaker in mano, “mi affaccio alla scena del bar, dal lato più essenziale della zona, la caffetteria”. Nel 2012 inizia la sua formazione nel settore con il corso alla Flair Bartender School e, dopo un anno, lo troviamo già dietro ai banconi di club. Lui, però, è ambizioso e, come Giovanni, parte per Londra. “Era un periodo nel quale vedevo video di ispirazione su YouTube del Night Jar, il bar guidato da Luca Cinalli e Marian Beke”. Al termine di una gavetta formativa e impegnativa, arriva al Dirty Martini, dove annovera la prima esperienza da bartender. Tra una chiacchierata e l’altra “un barman mi parla di un cocktail bar al primo piano del ristorante stellato Social Eating House”. Era il Blind Pig, dove conosce Giovanni – “io facevo il bartender e lui il barback” – e dove i due lavorano a stretto contatto per un anno e mezzo, periodo nel quale il locale viene nominato International Restaurant Bar dell’anno a Tales of Cocktails nel 2015. “Era uno speakeasy, nel quale si ascoltava musica hip hop e nel quale si bevevano drinks unici e creativi, anche in fatto di nomi. Solo per fare un esempio, il Cereal Killer era un milk punch a base di latte di cereali, rum e sciroppo alla vaniglia e veniva servito in un bicchiere di vetro a forma di cartone di latte”.
“Nello stesso anno della vittoria a Tales of Cocktails il premio miglior team era stato assegnato a 28 Hong Kong Street” continua Silvio. La curiosità lo porta ad approfondire sul mappamondo Singapore, una scena piccola, giovane ma piena di energia, e a fare il biglietto nel tardo 2017 con visto turistico di tre mesi. Dopo un mese e mezzo trova lavoro al Gibson, 92° nella World’s 50 Best Bars e 25° in quella asiatica. “Qui scoprii un mondo di precisione, che definirei cerimoniale. La realizzazione del cocktail richiedeva molto più tempo e nessun dettaglio veniva lasciato da parte. Il taglio del ghiaccio, per esempio, era compito nostro”. La miscelazione è strettamente legata a prodotti asiatici, che qui sono comuni e che, proprio per questo, devono essere rivisitati in modo interessante. La Guava, un frutto il cui sapore è simile a quello della mela, diventa qui protagonista in un higball con Altos Reposado Tequila, Ulam Raja e sale. Dopo due anni e mezzo, durante i quali diventa Senior Bartender, nel 2019 raggiunge Giovanni al Jigger & Pony.
Adesso i ruoli si sono invertiti e Giovanni, a differenza del Blind Pig, coordina il lavoro di Silvio e di altri quattordici colleghi. “Singapore è una città poliglotta” – dice – “ci sono 4 lingue ufficiali e noi abbiamo un team multietnico, composto da giapponesi, coreani, taiwanesi, coreani, malesi, filippini, singaporeani e italiani”. A differenza di tanti altri cocktail bar di ricerca, qui il compito è anche quello di fare quantità, visti i 140 coperti presenti. L’offerta si struttura quindi in modo variegato, per raggiungere un pubblico ampio e multiforme. “Il locale ha un’energia molto intensa: l’atmosfera è conviviale e le persone possono essere loro stesse”. Dello stesso parere Silvio che, forte dell’esperienza al Gibson, ne riconosce le differenze. “Mentre al Gibson vi è più intimità e il cliente ricerca l’esperienza, qui viene per il divertimento e, per noi che ci lavoriamo, l’aspetto imprescindibile è la personalità”.
Se Giovanni ha un ruolo più manageriale, in fatto di gestione del personale, di conti economici e di sviluppo del menu, Silvio ha un approccio più ravvicinato con il bancone, dove deve tenere d’occhio anche la crescita degli apprentice e dei bartenders, i primi scalini di una gerarchia che si prosegue con Head Bartender, Senior Bartender (come Silvio), Principal Bartender (come Giovanni), Bar Manager (Jerrold Khoo) e Bar Program Director (Aki Eguchi).
I cocktails qui proposti sono molto legati alla struttura dei classici. L’elemento di innovazione, interesse e creatività, se presente, non è fine a sé stesso. Nel lunghissimo menu, creato per soddisfare tutte le esigenze della clientela in un formato magazine molto d’appeal, trovano spazio oltre 20 cocktails, alcuni dei quali sono classici senza tempo come il Dry Martini, il Negroni, l’Old Fashioned e il Daiquiri. In parallelo, vi è il risultato di una ricerca che qui non si ferma mai e che adesso sta portando alla realizzazione del nuovo menu, che uscirà a maggio. Un esempio è lo Yuzu Whiskey Sour, un cocktail intramontabile in cui agli ingredienti caratteristici viene aggiunta la marmellata di yuzu. Altro cocktail identitario del menu, che rimarrà in carta anche nel prossimo menu, è il Whisky Highball, le cui materie prime sono state scelte dopo una degustazione alla cieca. Un cocktail che strizza l’occhio all’Italia (e all’Oriente) è invece il Genmaicha Bellini, un drink con gin, prosecco e genmaicha appunto – un tè verde arricchito da riso tostato – in sostituzione della polpa di pesca bianca.
Il piazzamento in nona posizione nelle classifiche della Best Bars non ha cambiato di gran lunga le carte in tavola. – “quella asiatica ha annunciato i piazzamenti in pieno lockdown, quella mondiale mentre eravamo aperti” – ma ha dato una grande mano sul servizio di consegna a domicilio lanciato nel frattempo, PONY. “Ci ha sicuramente caricato di molta responsabilità perché sappiamo di trovarci in una situazione privilegiata” ha detto Giovanni. Alla domanda “cosa ti ha dato l’esperienza londinese?” entrambi rispondono le basi e, per ciò che riguarda quella singaporeana, secondo Giovanni l’apertura mentale e la maturità, per Silvio lo stile, preciso e ‘giapponese’, e il concetto di ‘non sentirsi mai arrivati’. Entrambi si vedono ancora a Singapore per i prossimi anni e chissà che, in futuro, non facciano ritorno in Italia per un progetto che li veda protagonisti di nuovo fianco a fianco.
Ricetta Genmaicha Bellini
Ingredienti:
Per la Genmaicha Puree:
Procedimento:
Combinare il te, lo zucchero e l’Agar Agar in una pentola. Riscaldare continuando a mescolare fino a raggiungere 80°C. Versare il composto in un contenitore e riporre in frigo finche non si sarà solidificato. Frullare il composto e passarlo attraverso un colino a maglie fini, aggiungere il Gin e mescolare.
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